Sarà un modo per omaggiare il grande artista, nato nel 1939, nell’anno in cui avrebbe compiuto 80 anni; alcune delle iniziative e degli ospiti che interverranno sono frutto della collaborazione con la Fondazione Gaber che patrocinerà quest’anno il Festival.Così come nel 2018 con Luigi Tenco, laboratori, incontri colloquiali e spettacoli di questa edizione prenderanno in prestito i titoli delle canzoni di Giorgio Gaber.
G.G., o il Signor G., come lo chiama chi lo ama, si potrebbe definire “una sola moltitudine”, per usare un’espressione di Fernando Pessoa, uno dei suoi scrittori prediletti e compagno d’inquietudine, le cui citazioni sono disseminate in molti testi di Gaber, soprattutto nella “maturità”. Difficile ridurre Gaber ad uno, si perderebbe la straordinaria varietà delle sue tematiche, delle sue esperienze, delle sue letture, della sua arte: sono troppi gli spunti, le provocazioni, le idee geniali e le canzoni memorabili.
Si sente Gaber ed è come leggere Pessoa ed Adorno, Cristopher Lasch e Costanzo Preve, Simone Weil e Heidegger. Gaber non si può esaurire in un articolo, né in un colore politico o in un’etichetta: la sua eredità è molteplice e variegata, Gaber è parola, intesa come scrigno di bellezza nella sua infinita varietà costituzionale. Scomodo, geniale, ironico, poeta, irresistibile, inimitabile, interprete sublime dell’invettiva, voce fenogliana di una Questione privata, intellettuale libero, affine a Pasolini nel desiderio di andare “oltre”, perché soltanto abbattendo le barriere dell’Italietta borghese – “buttare lì qualcosa e andare via” – si può adempire al proprio ruolo di artisti. Gaber si concedeva interamente, era il fratello maggiore, il gabbiano ipotetico – per tornare a Pessoa, il soldato al fronte, che al continuo bombardamento di ipocrisie e falsità sapeva opporre cortocircuiti salvifici.
“L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé” – diceva. Non sapeva, o forse sì, che lui stesso era per molti appartenenza.
Ieri, oggi, sempre.